Il futuro dell’agricoltura è sempre più orientato verso la sostenibilità e molti consumatori sono alla ricerca di prodotti meno industrializzati che gli permettano di entrare a diretto contatto con il produttore. Le pratiche agroecologiche potrebbero in futuro cambiare l’agricoltura moderna così come la conosciamo, basata sulle monocolture e l’utilizzo di input esterni come fertilizzanti e agrofarmaci.
L’agroecologia è definita come l’applicazione di concetti e principi ecologici alla progettazione e gestione di agroecosistemi sostenibili. Questo approccio può rappresentare una risposta all’aumento dei prezzi dei mezzi tecnici, alla richiesta dell’Ue di ridurre l’uso dei fitofarmaci chimici entro il 2030 almeno del 50%, agli aumenti produttivi richiesti per una popolazione in continua crescita e alla ricerca di alternative ecologiche meno vulnerabili agli eventi meteorologici estremi associati ai cambiamenti climatici.
Una strategia agroecologica ha come obiettivo quello di creare sistemi agricoli sinergici, che imitano i processi naturali e traggono vantaggio dalle interazioni benefiche che si verificano naturalmente in campo, al fine di ridurre l’utilizzo di input esterni.
Il pensiero e le pratiche agroecologiche possono essere applicate sia a livello di azienda agricola che dell’intero sistema alimentare. Per questo sono incluse negli Ecoschemi della PAC e sono riconosciute come mezzo per affrontare le questioni ambientali e sociali all’interno dei sistemi alimentari da parte delle Nazioni Unite e del gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Intergovernmental Panel On Climate Change, IPCC).
In questo articolo descriviamo lo sfaccettato mondo delle pratiche e più nello specifico di alcuni tipi di realtà agroecologiche, che vanno oltre il concetto di biologico e che mirano a ridurre significativamente l’utilizzo di energia e input esterni, ripristinando la fertilità del suolo, sequestrando grandi quantità di carbonio e creando sistemi agricoli più biodiversi, per produrre anche in maniera redditizia cibo sano e nutriente.
Un primo sguardo all’agricoltura organica e rigenerativa, alla permacultura e all’agricoltura sinergica e all’agroforestazione.
Le principali pratiche agroecologiche
L’agroecologia si basa su tecniche agronomiche, biologiche e meccaniche che hanno come obiettivo quello di dare vita a medie e piccole aziende agricole con tante piante diverse, basate sull’economia circolare e sul mantenimento della produttività nel lungo termine.
Entriamo nello specifico delle pratiche:
- rotazioni colturali e policolture, per mantenere la fertilità del suolo, ridurre al minimo i problemi legati a patogeni e parassiti e creare aree ecologiche per gli impollinatori;
- colture di copertura e pacciamatura per ridurre l’evaporazione dell’acqua, controllare i parassiti e le erbe infestanti e arricchire il suolo di sostanza organica;
- integrare le colture con il bestiame per produrre biomassa e riciclare i nutrienti.
La progettazione di tali sistemi si basa sull’applicazione dei seguenti principi ecologici:
- costruire e mantenere di un suolo sano con un’alta percentuale di materia organica, evitando l’uso di fertilizzanti chimici e migliorando l’attività biotica del suolo attraverso l’aggiunta di letame, compost, ecc.;
- evitare l’uso di agrofarmaci promuovendo le policolture e l’attività degli agenti di controllo biologico;
- ridurre il consumo energetico e le emissioni di gas serra, utilizzando meno macchinari, riducendo il disturbo e l’erosione del suolo e il trasporto del cibo a lunga distanza;
- conservare e proteggere l’acqua attraverso una gestione del suolo che ne incoraggia l’infiltrazione nel terreno. Ma anche grazie all’aumento di sostanza organica, all’utilizzo di colture di copertura e consociazioni.
Agricoltura organica e rigenerativa, l’importanza di partire dal suolo
Il suolo è un ecosistema dinamico, animato di vita propria: un solo grammo di suolo può contenere fino a un miliardo di batteri, un milione di funghi e decine di migliaia di protozoi.
A causa dell’erosione si perdono circa 10 milioni di ettari di terreno agricolo ogni anno, e come se non bastasse a partire dagli anni ’50 i suoli hanno perso dal 30 al 70% del loro contenuto di carbonio e ora ne contengono in media solo il 2%. A questa percentuale il suolo non è in grado di compensare situazioni di stress, perde le proprie caratteristiche fisico chimiche e dunque fertilità.
L’obiettivo dell’agricoltura organica e rigenerativa, quindi, è quello di rigenerare il suolo da questa perdita importantissima, migliorandone la qualità e la biodiversità, per ottenere cibo sano in modo redditizio.
Nella pratica, l’agricoltura organica e rigenerativa minimizza o elimina le lavorazioni del terreno ed evita momenti in cui il suolo è nudo attraverso l’uso di adatte colture di copertura. Queste diventano fondamentali per aumentare la fertilità del suolo attraverso la pratica del sovescio: la semina di specie erbacee annuali o perenni che non vengono raccolte ma interrate per il miglioramento del terreno.
È buona regola utilizzare dei miscugli di specie, le famiglie più importanti sono le graminacee perché apportano tanta biomassa e quindi carbonio, le leguminose perché fissano l’azoto atmosferico al suolo e le brassicacee che lavorano con le loro radici decompattando i terreni pesanti e molte possono avere potere biocida.
I sovesci riducono i costi di concimazione, controllano le piante infestanti, diminuiscono l’erosione superficiale e le perdite di elementi nutritivi e aumentano la qualità del suolo e l’umidità.
Altre strategie di concimazione organica e minerale nell’agricoltura organica e rigenerativa comprendono l’apporto di letame, compost, vermicompost e biostimolanti, meglio se autoprodotti in azienda.
Si parla molto anche di biochar, un tipo speciale di carbone prodotto bruciando materiali ricchi di carbonio (come i rifiuti agricoli) in un ambiente estremamente povero di ossigeno. A differenza di altre forme di carbonio, il biochar non si decompone rapidamente, ma può migliorare significativamente la fertilità del suolo.
Nell’agricoltura organica e rigenerativa si cerca di integrare il bestiame alle colture attraverso sistemi di pascolamento efficienti e razionali: alta densità e diversità di specie foraggere, alto carico animale, rispetto del tempo di recupero, spostamenti frequenti, animali diversi al pascolo e integrazione del foraggio con gli alberi.
L’agricoltura sinergica e la permacoltura
La permacultura, fondata da Bill Mollison e David Holgrem negli anni ’70, è forse la forma di agroecologia più conosciuta. Il termine permacoltura deriva dalla contrazione dei termini agricoltura e cultura permanente. Si occupa in primis di piante e animali ma anche di edifici e infrastrutture con l’obiettivo di creare sistemi ecologicamente ben strutturati ed economicamente produttivi in grado di provvedere ai propri fabbisogni evitando ogni forma di sfruttamento e inquinamento e quindi sostenibili sul lungo periodo.
La permacolturta si basa sull’osservazione dei sistemi naturali e utilizza sia la saggezza dei metodi di coltivazione tradizionali che le moderne conoscenze scientifiche e tecnologiche.
Nella pratica, dal punto di vista agricolo, vengono scelte specie locali o quelle adattate note per essere benefiche, si pianificano sistemi a piccola scala intensivi ed efficienti dal punto di vista energetico, con produzioni diversificate e policolturali. In questi sistemi si cerca di ridurre il consumo di energia, di restaurare la fertilità del terreno e di utilizzare ogni cosa al massimo livello possibile riciclando tutti gli scarti. La produttività complessiva è incrementata considerando non solo le rese fornite da piante annuali e colture perenni, pascoli, alberi e animali, ma anche quantificando come resa l’energia risparmiata.
In permacoltura è fondamentale la progettazione degli ambienti, diversa per ogni realtà. Per una pianificazione energetica efficiente, il paesaggio su cui si opera viene suddiviso in zone a cui è adibita una destinazione d’uso e una distanza dall’abitazione secondo la frequenza d’intervento umano. Le zone sono poi divise in settori realizzando un diagramma circolare a spicchi o cunei che si irradiano dal centro dell’attività (di solito la casa).
Se in permacoltura si continua a lavorare il terreno e ad utilizzare il compost, nell’agricoltura sinergica si fa riferimento alla produzione di ortaggi e vegetali di piante annuali e perenni senza alcuna lavorazione del suolo e nessun apporto di fertilizzanti. L’agricoltura sinergica è stata elaborata da Emilia Hazelip e nasce dall’adattamento al clima mediterraneo dell’agricoltura naturale e della permacoltura.
In primis l’agricoltura sinergica promuove i meccanismi di autofertilità del suolo: le piante creano suolo fertile attraverso i propri essudati radicali, i residui organici che lasciano e la loro attività chimica, insieme a microrganismi, batteri, funghi e lombrichi. Pratica importante è la pacciamatura intesa come copertura organica permanente e la creazione di aiuole rialzate permanenti dette bancali dove si distinguono area di coltivazione ed area di passaggio.
Nella pratica prevede di piantare in modo ravvicinato ortaggi, fiori, aromatiche, officinali e alberi da frutto: si crea così un ambiente molto vario e ricco, dove piante, accuratamente scelte, lavorano in sinergia tra di loro.
Agroforestazione o agroforestry
L’agroforestazione è un sistema di coltivazione multipla: specie arboree e/o arbustive perenni (da legno, da frutto o altro prodotto) sono consociate a seminativi e/o pascoli nella stessa unità di superficie, con la possibilità, anche, di aggiungere degli animali.
Niente di nuovo, è ciò che facevano i nostri nonni, ma con l’aumento della meccanizzazione agricola e la tendenza alla monocoltura, in Europa a partire dagli anni ’50-’60 c’è stata una drastica riduzione dei sistemi agroforestali.
L’agroforestry si distingue in diverse tipologie:
- sistemi silvoarabili, cioè impianti di specie arboree e colture erbacee;
- sistemi silvopastorali, in cui si aggiunge l’allevamento. Gli animali aiutano a controllare le infestanti, mentre le piante arboree possono anche essere scelte in base al loro valore foraggero per ridurre l’integrazione alimentare per gli animali;
- sistemi lineari, costituite da siepi, frangivento o fasce tampone ai bordi dei campi, per tutelare la biodiversità;
- fasce ripariali, costituite da specie arboree e arbustive che proteggono eventuali argini di corsi d’acqua dall’erosione e dall’inquinamento;
- coltivazioni in foresta, di funghi, frutti di bosco e prodotti non legnosi.
Un modo di riforestare che permette di migliorare le caratteristiche fisico chimiche del suolo e produrre reddito diversificato.
Applicare l’agroecologia all’intero sistema alimentare
Nel corso del ventesimo secolo la necessità di nutrire una popolazione in aumento è stata gestita attraverso la rivoluzione verde, cioè con l’introduzione di agrofarmaci, fertilizzanti sintetici e nuove cultivar ad alto rendimento. Il successo è stato indiscutibile; tuttavia, ci sono ancora persone malnutrite e ad oggi stiamo affrontando problemi climatico ambientali derivanti dagli impatti dell’agricoltura intensiva sul degrado delle risorse naturali.
La sfida, presente e futura, si trasforma quindi nel riuscire a nutrire un sempre maggiore numero di persone rispettando l’ambiente a 360 gradi. Le pratiche agroecologiche hanno questo obiettivo, attraverso la creazione di sistemi efficienti in grado di resistere naturalmente a parassiti e patogeni e dove gli input del sistema sono i processi naturali stessi.
Forse lo svantaggio più evidente dei sistemi agroecologici sono i rendimenti dei raccolti generalmente inferiori rispetto ai sistemi convenzionali, aspetto che causa un po’ di resistenza. Se si vuole ottenere il massimo profitto nel breve termine forse questi sistemi non sono l’ideale perché puntano piuttosto a mantenere un reddito costante nel lungo termine. Le aziende agricole più piccole, con una maggiore diversità di prodotti e attività, possono funzionare in modo abbastanza redditizio perché sono meno dipendenti da input energetici ad alto costo. Inoltre, le esternalità ambientali possono essere considerate anche un profitto prezioso.
Molti studi dimostrano l’effettiva produttività di questi sistemi, ma al momento la ricerca su queste tematiche non è adeguatamente finanziata. C’è quindi un grande potenziale per trovare, nel futuro prossimo, le soluzioni più adeguate per massimizzare i rendimenti e il reddito degli agricoltori di realtà agroecologiche.
L’agroecologia è una disciplina integrativa che comprende elementi di agronomia, ecologia, sociologia ed economia. Il suo approccio è molto ampio e deve essere applicato all’intero sistema alimentare per comprendere anche una visione diversa delle abitudini attuali di consumo e per educare i consumatori sulle connessioni tra agricoltura, cibo, salute e ambiente.
Trasportare alimenti da un continente all’altro, facendogli percorrere migliaia di chilometri per raggiungere le nostre tavole, consuma grandi quantità di energia e non ci aiuta a riconoscere il valore che c’è dietro quel prodotto.
Per questo, l’agroecologia predilige mercati locali e prodotti a chilometro 0, capaci di mettere in connessione diretta produttore e consumatore. Dopo il covid queste modalità sono cresciute tantissimo: dal ritiro in azienda, alla ricezione delle cassette di verdure direttamente a casa dal contadino, al ritorno all’acquisto di prodotti sfusi senza imballaggio, fino ai Gas, gruppi di acquisto solidali in cui alcune famiglie fanno la spesa insieme, direttamente dai produttori, con i quali instaurano un rapporto di fiducia.