Un visto turistico a pagamento per visitare l’Italia?

In tempi di grandi cambiamenti di orizzonte, di nuovi possibili referendum e di programmazione economica – tra manovra di bilancio dello Stato, nuova stagione di fondi europei e quel che resta del Pnrr – simtur non indugia e avanza una proposta che intende diventare un Disegno di Legge.


È occorso già diverse volte di evidenziare come il 2024 sarà ricordato come l’anno in cui il fenomeno dell’overtourism è balzato agli onori delle cronache di tutto il mondo e, in particolare, del Vecchio continente: da materia per sociologi ed economisti con l’animo più green, che lo studiavano già da decenni, è diventato un tormentone che ha appassionato tutti, dai telegiornali alle chiacchiere sotto l’ombrellone.

Non le solite previsioni funeste degli ambientalisti: secondo la World Bank, ogni anno i turisti complessivi sono quasi un miliardo e mezzo. Nel 1950 erano 25 milioni, per il 2030 si potrà arrivare a 1,8 miliardi e si potrebbe superare la soglia mitica dei 2 miliardi entro il 2040. Il sovraffollamento percepito (overcrowding) è un problema ancora più serio, considerando che l’80% dei turisti va in vacanza nel 10% delle destinazioni, particolarmente in Italia, dove i flussi imponenti si concentrano nell’20% del territorio nazionale (in 5 Regioni) che – secondo le stime di Istat – nel 2040 potrebbe essere popolato soltanto da 48 milioni di abitanti (con una perdita di ulteriori 5 milioni, soprattutto nelle aree montane, rurali e interne).

La scintilla della protesta è scoccata nelle città spagnole, riverberandosi in Olanda, Francia, Germania e Italia, con riflessi anche in altre località e paesi, tra cui il Giappone. Ma non c’è dubbio siano stati i residenti di Barcellona, Maiorca, Siviglia e Madrid ad invadere le strade portando il malcontento ad un livello superiore e diverso: qualcuno ricorderà come siano giunti a scendere in piazza “armati” di pistole ad acqua per allontanare i flussi più invadenti.

In Italia, la scritta “Tourists go home” ha iniziato a campeggiare nei vicoli delle città d’arte e persino nel mercato di Ballarò a Palermo è comparsa la scritta «Meno crociere, più quartiere» (nella foto).

palermo ballarò - meno crociere, più quartiere

Non riuscendo il “Bel Paese” a brillare per efficacia nel governo dei flussi turistici (il “modello Venezia” è stato interpretato con successo da Firenze, Roma, Milano e ora anche Napoli e Palermo, espellendo residenti e attività economiche di prossimità a favore di kebabberie e pizze al taglio, non rimane che guardare oltre confine per apprendere tecniche e trovare più coraggio nelle scelte di indirizzo strategico.

Ad esempio l’iniziativa CopenPay con cui l’organizzazione turistica ufficiale di Copenaghen ha avviato sperimentalmente la trasformazione di azioni ecologiche da parte dei visitatori in vera e propria valuta per pagare le esperienze culturali, con l’ambizione di incoraggiare scelte ecologiche consapevoli e contribuire a colmare il grande divario tra il diffuso desiderio di agire in modo sostenibile e i comportamenti reali. CopenPay premia azioni come andare in bicicletta, partecipare a iniziative di pulizia o fare volontariato nelle fattorie urbane, restituendo il contributo virtuoso offrendo l’accesso alle principali attrazioni della capitale danese e ad un ricco programma di esperienze coinvolgenti, che include visite guidate gratuite ai musei, noleggio gratuito di kayak e persino un pranzo vegetariano gratuito a base di colture locali. Una vera «spinta gentile», come insegna il premio Nobel per l’economia Richard Tahler.

Di segno diverso la nuova normativa che entrerà in vigore a partire dall’1 ottobre in Spagna, che prevede diversi obblighi per i turisti: ogni viaggiatore che soggiornerà in hotel o in un b&b anche solo per una notte o che noleggerà un’auto sarà tenuto a comunicare oltre 40 dati personali e sensibili, dalle tradizionali generalità al numero del conto in banca. L’obiettivo è monitorare l’ingresso dei visitatori, così da garantire una maggiore sicurezza in tutto il Paese, ma il governo spagnolo intende anche contrastare l’overtourism, così ha deciso di aumentare la tassa di soggiorno comunale: che si tratti di una notte in hotel, di una crociera o di in campeggio, ogni pernottamento richiederà il pagamento di 4 euro a persona al giorno. Una cifra che andrà ad aggiungersi alla già esistente tassa di soggiorno richiesta negli stabilimenti turistici (IEET) della Generalitat (Governo di Catalogna), il cui valore varia da 1 a 3,50 euro a seconda della categoria della tipologia di struttura.

Il governo britannico ha annunciato che dal 2 aprile 2025 i visitatori stranieri dovranno richiedere un’autorizzazione elettronica preventiva (Eta) per mettere piede nel Regno Unito, anche solo per uno scalo aeroportuale, simile all’Esta già in vigore per gli Stati Uniti. La richiesta dovrà essere effettuata online o tramite app, fornendo dati del passaporto, foto e rispondendo a domande sulla sicurezza. La risposta arriverà in 3 giorni e – se viene rifiutata – non c’è possibilità di appello e bisogna munirsi di un visto. Costerà 10 sterline (circa 12 euro) e sarà obbligatoria per tutti gli europei, italiani compresi, sarà valida per due anni e consentirà il soggiorno per periodi non superiori a 6 mesi.

L’esperienza dell’Esta statunitense lascia immaginare che altri Paesi introdurranno visti di ingresso nazionali, che rispondono ad esigenze di sicurezza collettiva e di sicurezza personale, ma anche un’imposta (un ticket?) che mira a garantire servizi più efficienti che si possono dimensionare sui flussi in ingresso e sulle specifiche esigenze del visitatore. Anche per questo motivo sono richiesti il passaporto biometrico e dati personali anche relativi all’indirizzo, all’impiego, ai familiari (da contattare in caso di emergenza), riferimenti di primo contatto negli Stati Uniti e anche informazioni di pagamento (coordinate bancarie, carta di credito, PayPal, ecc.).
Un universo di vantaggi resi possibili dalle nuove tecnologie, che sostengono i modelli più innovativi dell’economia dei visitatori che – meglio dell’economia turistica – consente di inquadrare il fenomeno da più ampie prospettive. A partire proprio dalla sicurezza, aspetto sempre più fondamentale nella scelta della destinazione: a differenza del turista, il visitatore può essere raggiunto da costanti rassicurazioni su temi come la minaccia terroristica o l’illegalità, per non parlare della protezione civile in caso di calamità, ma anche essere efficacemente raggiunto da contravvenzioni per infrazioni commesse sulle strade italiane, diversamente da quanto avviene oggi.

Un “visto turistico” per l’Italia?

In Italia non è difficile assistere a fenomeni che si diffondono a macchia di leopardo, su basi spontanee, senza norme quadro o in forza di spinte regionaliste, non raramente capaci di superare ogni possibile pianificazione. È la bellezza di un Paese multiforme e culturalmente biodiverso, tenacemente aggrappato ai campanili, ma è anche un forte limite allo sviluppo.

Così l’imposta di sbarco e l’imposta di soggiorno, unitamente ai ticket di ingresso, hanno smarrito la connotazione “di scopo” che le connetteva al benessere e all’innalzamento della qualità dei servizi per residenti e visitatori. Si osservi, per di più, come spesso risultino disorientanti per chi soggiorna temporaneamente, già confuso da disservizi, anche i frequenti contatti con soggetti non debitamente autorizzati o persino con retaggi sopravvissuti al Novecento del turismo di massa (come ad esempio il “coperto” nei ristoranti, che rimane una voce incomprensibile per i visitatori stranieri e una delle fonti di lamentela più frequenti nelle reti digitali, dove si forma la reputazione delle destinazioni).

Da qualche tempo, nel sito ufficiale del Ministero degli Esteriwww.vistoperitalia.esteri.it – è possibile comprendere più semplicemente e intuitivamente quali siano i criteri per ottenere l’ingresso in Italia, quali i requisiti e quali le procedure. Al viaggiatore è richiesto di comunicare 4 dati: nazionalità, Paese di residenza, durata del soggiorno e motivo del viaggio. La risposta non comporta necessariamente il rilascio del visto e comunque – al momento dell’ingresso in Italia e nell’area Schengen, anche se in possesso del visto – le Autorità di frontiera sono autorizzate a richiedere nuovamente la dimostrazione dei requisiti previsti.

Poi si apre al visitatore l’avventura delle imposte locali e dei ticket d’ingresso, giungendo a destinazione senza che nessuno abbia raccolto dati utili alla profilazione, si sia candidato ad offrire un servizio personalizzato o abbia dovuto promettere un progressivo miglioramento dell’offerta. A ciò si aggiunga che nelle città italiane non esistono card turistiche integrate che consentano ai visitatori di accedere e fruire pienamente di trasporti, musei, attrazioni, ristoranti e servizi. Semplicemente si arriva alla reception della struttura ricettiva e si viene informati dall’host che – suo malgrado e malvolentieri – dovrà trattenere una certa somma aggiuntiva per le tasse comunali, istituite in misura variabile e, da qualche tempo, senza alcuna connessione con impegni o risultati attesi in termini di miglioramento dell’esperienza di visita o dei servizi locali.

Visto che il “Bel Paese” è il risultato di una stratificazione di storie, culture, pellegrinaggi e contaminazioni, lingue e vicende storiche che nel tempo si sono stratificate diventando monumenti, opere d’arte e d’intelletto che costituiscono nell’insieme un patrimonio culturale incomparabile – e continuano ad ispirare l’eccellenza del Made in Italy nell’agricoltura, nell’artigianato, nel design e nella manifattura – sarebbe impossibile immaginare un sistema di autorizzazione preventiva per entrare in Italia? Magari con un fee d’ingresso?

Ipotizzando di richiedere agli attuali 135 milioni di arrivi internazionali un contributo di accesso di 15 euro, il Governo rischierebbe di poter contare subito su oltre 2 miliardi di euro di entrate fiscali. Anche immaginando di devolvere il 50% alle Regioni, vincolando i fondi a servizi che migliorino l’accessibilità e la piena fruizione dei luoghi, realizzando infrastrutture strategiche volte ad aumentare le connessioni tra gli hub aeroportuali e le località ostinatamente considerate “minori”, rimarrebbe 1 miliardo ogni anno per la conservazione e la tutela del patrimonio, da custodire in nome degli italiani di domani.
Si pensi che l’Art Bonus è arrivato a 800 milioni di agevolazioni fiscali e il FUS – il Fondo Unico per lo Spettacolo – ha una dotazione variabile che ruota attorno ai 350 milioni di euro. In termini percentuali, nel bilancio dello Stato le spese relative al patrimonio culturale italiano sono in gran parte incluse in due missioni di spesa – “Tutela dei Beni Culturali” e “Turismo” – che possono contare su una disponibilità che consuma appena lo 0,15% del Pil e lo 0,3 per cento della spesa primaria (cioè il totale delle spese della Pubblica Amministrazione al netto degli interessi sul debito pubblico), in continua diminuzione.

Al contrario, considerando che l’Esta negli Stati Uniti rischia di aumentare fino a 35 euro a persona per viaggio, parificando l’onere in Italia si giungerebbe a riscuotere quasi 5 miliardi di euro. E considerando che il numero degli arrivi sembra destinato ad aumentare fino a 200 milioni, nei prossimi anni il flusso potrebbe generare fino a 7 miliardi di euro ogni anno.

Per governare i flussi servono dati

In simtur pensiamo che al momento della richiesta di contributo d’accesso potrebbero essere richiesti dati fondamentali per la politica di gestione dei flussi turistici, iniziando seriamente a governare l’overtourism. E potrebbe anche essere generata una aggiuntiva proposta di valore, come ad esempio una card elettronica che consenta di prenotare online treni, musei, ristoranti, strutture ricettive e attrattori con tariffe differenziate e sconti per periodo dell’anno o addirittura per singole date. La vendita di tale card potrebbe giustificare il contributo d’ingresso anche verso i Paesi legati all’Italia da trattati e zone di libera circolazione.

I dati sono necessari per capire i comportamenti, le loro dinamiche, le loro interazioni; servono per analizzarne l’impatto, capirne le trasformazioni generate; servono per ipotizzare opportune sollecitazioni positive e azioni capaci di distogliere comportamenti negativi per i luoghi, le comunità, il Paese. Il problema è la frammentazione degli innumerevoli punti di raccolta, l’incapacità di elaborazione a livello locale, sommata – ammettiamolo – ad un certo tasso di disattenzione dei policy maker verso la complessità dei data lake. Mentre la tracciabilità delle card, nel rispetto della privacy individuale, consentirebbe anche di analizzare il movimento turistico generale e di far emergere almeno una parte dei fenomeni di abusivismo, irregolarità e sommerso (si stima che il turismo generi il 40% dei 192 miliardi di “economia non osservata” totale).

Per preservare il patrimonio e fare turismo servono risorse

Il turismo è un’attività di servizi: fare turismo senza badare alla qualità dei servizi è come fare agricoltura senza badare alla qualità del terreno o fare industria senza investire nella qualità dei macchinari. Investire risorse finanziarie per aumentare la qualità dei servizi significa contestualmente aumentare la qualità della vita delle comunità residenti. E ricavare risorse pubbliche a livello nazionale aiuterebbe anche a conseguire quell’obiettivo di perequazione tra centro e periferia, aree urbane e borghi rurali, nord e sud, costa ed entroterra, aree sviluppate e zone svantaggiate.

Questa è politica, il resto è mera conservazione delle rendite di posizione.

Federico Massimo Ceschin e Virgilio Gay

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