Che cos’è l’italianità? Come potremmo tentare di definirla? E siamo sicuri di poterla definire, descrivere, racchiudere e confinare dentro un unico e universale percorso di senso? Oppure è bene che rimanga oggetto di indagine, ambizione, aspirazione e motivazione di viaggio? E se iniziassimo a pensare che non è un sostantivo ma un sentimento, dinamico e plurale? SIMTUR ha iniziato a ragionarne assieme al network “Territori e Italianità“…
Le nazioni hanno un anima. Tutte. Un tempo si illustravano con le bandiere, oggi forse più come marchi, che possono addirittura essere analizzati attraverso caratteristiche numerose, diverse e classificabili – almeno a grandi linee – anche accostandole ad associazioni mentali, sensoriali, emotive e razionali.
Stando ad alcuni studi (Guerini, 2002), applicare la decomposizione semantica di tali categorie al “marchio Italia” significa riconoscere alcune caratteristiche specifiche e distintive:
- sensoriali: arte, cultura, cibo, moda e automobili;
- emotive: vacanze, bel tempo, buon cibo, bellezza e socialità;
- razionali: linguaggio e storia.
Questi elementi caratterizzano esplicitamente un concetto implicito di italianità, che si può riassumere in simpatia, amicizia, bellezza, divertimento, piacere… molto diverso non solo da quello tedesco (perfezione, solidità, qualità, affidabilità, ecc.), ma anche da quello francese (eleganza, sobrietà, servizi pubblici efficienti, ecc.) che pure condivide l’amore per il cibo, la moda e la cultura.
E così atterriamo ad una prima considerazione necessaria: come ogni concetto complesso, quello di italianità è rappresentato da un insieme di immagini mentali, dette anche exemplar, che corrispondono a una costellazione di attributi. Per esempio immagini di Ferrari, Venezia, Versace e Cappella Sistina insieme a pizza, pasta, Chianti, paesaggi, borghi e lidi balneari che possono essere recuperati nella memoria a lungo termine – insieme o separatamente – per formare un’idea di italianità.
Per fare un passo avanti, forse dovremmo iniziare a immaginare l’italianità qualcosa più di un concetto d’insieme, che richiama immagini di prodotti, luoghi e cibi insieme ad entità antropologiche, naturali e culturali, abbracciando la visione di un processo che, quindi, per definizione, è dinamico e instabile.
Non a caso esiste e si registra in numerosi studi (Dubois e Paternault, 1997; ICE, 2004; Fondazione Rosselli, 2006; Università Bocconi, 2007), un effetto dell’italianità sulla percezione della produzione italiana: pur essendo percepiti come primi nel mondo per stile, design e creatività, siamo dietro alla Francia per precisione delle rifiniture e molto più deboli di altri Paesi per innovazione, tecnologia e affidabilità. E quindi chiamati a competere nei mercati per valore rispetto al prezzo.
Quale valore e quale prezzo per l’italianità?
Al termine di questa estate 2023 ormai è molto chiaro: il prezzo dei lidi balneari albanesi vale il costo del traghetto, anche se a poca distanza dal mare non ci sono scrigni di cultura e di storia come Venezia, Firenze, Roma o Napoli. Né borghi straordinari, né centinaia di prodotti DOP, IGP e PAT, né una cultura diffusa dell’accoglienza e dell’ospitalità.
Accettando nel turismo la distinzione tra “hardware” (risorse, attrattori, infrastrutture, ecc.) e “software” (qualità intrinseca, cura dei dettagli, cultura e servizio), cosa può ancora distinguere e posizionare l’offerta italiana? Sarà sufficiente la Venere del Botticelli vestita da influencer sul Ponte di Rialto?
La risposta di SIMTUR – ormai è noto – si trova nella terra. Anzi, nei territori.
L’hanno dichiarato i fondatori nell’atto costitutivo che poi è diventato un libro (“Smart mobility, smart travel, smart life! Viaggio nell’Italia del 2050“), è stato ribadito nel Manifesto BioSlow, diventando programma d’azione con le «piccole patrie» ispirate a Adriano Olivetti e ora – più convinto che mai – l’approccio agrobiodiverso con cui SIMTUR guarda alle plurali identità italiane consente il decollo del nuovo Enjoy MAG e della piattaforma rurability.
Un sistema di valori che si nutre della bellezza delle narrazioni plurali che il Bel Paese riserva – dalle Alpi alla Valle dei Templi, dalle colline del Carso ai nuraghe – attraverso storie umane che sanno di terra e di mare, ma anche di fatica, di sudore, di sacrificio, di ingegno, di talento e di creatività. Un quadro dinamico, che fa dell’instabilità un punto di forza, perché costringe le comunità locali a ricercare sempre nuovi e resilienti punti di equilibrio.
Siamo convinti che per qualità della vita, stile e varietà di proposte, l’Italia possa considerarsi un riferimento per l’ospitalità rurale, combinando fascino, prodotti fatti in casa a chilometri zero e genuinità di luoghi e persone, anche e soprattutto nelle aree interne. Per i viaggiatori in cerca di esperienze autentiche, i fattori determinanti sono l’estraneità ai flussi turistici di massa, la sensazione di essere coccolati, la disponibilità di buon cibo cucinato in casa e accompagnato da ottimi vini, combinato con le pressoché infinite opportunità di vivere attività all’aria aperta. Nel promuovere il “Manifesto del turismo rurale”, SIMTUR si è assunta l’impegno di diffondere la consapevolezza della rilevanza e della consistenza del turismo nelle aree rurali e nei borghi come terzo pilastro del turismo italiano. E ne chiede in ogni sede istituzionale un pieno e sostanziale riconoscimento.
Sono necessari community destination manager e coordinatori turistici territoriali
Dall’insieme di questi presupposti e di questi convincimenti prende forma la più recente delle sinergie individuate per assistere i territori e le comunità locali che intendono affrontare a testa alta le sfide globali, adottando il modello della «filiera corta dell’accoglienza» che integra finalmente le eccellenze dei singoli territori per diventare destinazioni integrate e omogenee di turismo sostenibile: è stato siglato in questi giorni un protocollo d’intesa con “Territori & Italianità“, la community ideata da Andrea Succi.
Una rete di professionisti che si è connotata come un propagatore di conoscenza: un “think tank“ che non vuole solo raccontare ma incidere come agente operativo del cambiamento, facilitando l’emergere delle energie e dei valori disseminati nei territori.
E qui si torna al punto: come può ancora, la conoscenza, produrre valore economico per tornare ad essere competitivi?
Andrea Succi ha le idee chiare: «I territori sono la vera ricchezza dell’Italia, in cui ogni cittadino è una risorsa e ogni visitatore è un’opportunità». E quindi, concretamente, proprio come nelle «piccole patrie», è la diversità che ci rende belli (e competitivi). A patto di saperla gestire e valorizzare. Come? Attraverso la figura professionale del “Coordinatore Turistico Territoriale” (CTT).
Se il community destination manager è chiamato ad integrare l’offerta territoriale e posizionarla nei mercati nazionali e internazionali attraverso le leve del marketing, il CTT è un cittadino residente – opportunamente formato – che trasforma l’amore per la propria terra e la passione per la propria comunità in una professione al servizio dello sviluppo locale, con il compito di:
- operare lo scouting di operatori del territorio (strutture ricettive – artigiani – produttori – fornitori di servizi) interessati a divenire parte della filiera turistica locale;
- creare piani d’azione di marketing dell’ospitalità che prevedano la creazione di un catalogo di prodotti turistici strutturati;
- condurre la ricerca e lo sviluppo di canali commerciali, diretti e indiretti, per la commercializzazione dell’offerta;
- individuare e gestire i fabbisogni formativi della filiera turistica e degli amministratori locali;
- gestire l’esperienza dei visitatori durante la loro permanenza.