Venezia sperimenta il ticket, ma «così la città sembra Disneyland»

In alcuni weekend i turisti di passaggio dovranno pagare 5 euro per entrare a Venezia. Ma come sta andando? Dopo le prime dieci giornate, ci si avvicina già ai 900mila euro raccolti. Per l’amministrazione è l’unico modo per salvarsi dall’invasione dei turisti. Ma fra i veneziani monta il dissenso…

Alla stazione di Santa Lucia la scena ricorda i momenti peggiori della pandemia, quando per entrare in un ristorante bisognava mostrare un qr code. Solo che la porta d’ingresso in questo caso è su una città, e non una città qualsiasi.

A fine aprile l’amministrazione ha dato via ad un esperimento a lungo annunciato. I turisti di passaggio devono acquistare un ticket per poter entrare in città fra le 9.00 e le 16.00: costa 5 euro e si compra online. Gli ospiti che pernottano e i minori di 14 anni sono esentati. In stazione gli incaricati, vestiti con una pettorina gialla, controllano che tutti siano in regola, finora senza insistere troppo e senza bisogno di multe. In giro, fra ponti e calli, si vedono altri uomini, vestiti di bianco, pronti a dare informazioni a chiunque le chieda.

Venezia - ticket d'ingresso

A cosa serve il ticket d’ingresso a Venezia?

In pochi weekend sono stati raccolti i fondi che ci si aspettava di ottenere per tutto il periodo di sperimentazione, fino a metà luglio. Dopo le prime dieci giornate, ci si avvicina già ai 900mila euro. Sabato scorso i paganti sono stati 100.405, domenica 61.250.

Ma il sindaco Luigi Brugnaro fa di tutto per sostenere che l’intento non è quello di «fare cassa». A scanso di equivoci, c’è pure il fatto che la previsione è, almeno per quest’anno, di spendere più soldi di quelli che saranno guadagnati. Si prevedono uscite intorno ai tre milioni di euro, anche considerando la massiccia campagna di comunicazione che serve per spiegare un’iniziativa unica al mondo.

Dunque qual è dunque l’obiettivo? È anzitutto di avere a disposizione dati più precisi per capire l’andamento del turismo a Venezia, sapendo pure in anticipo quali saranno gli arrivi previsti. In più – ha detto Brugnaro – si vuole far passare una cultura del «turismo di qualità». In altre parole, l’assalto a Venezia sta causando più danni che benefici. Ed è tempo di farlo sapere al mondo.

La ministra al Turismo, Daniela Santanchè, non è però sicura che questo sia il modo giusto per farlo: «Onestamente questa non è la mia visione», ha detto in un’intervista al Gazzettino. Qualche anno fa, quando un altro ministro del turismo, Gian Marco Centinaio, aveva espresso le stesse perplessità, Brugnaro lo aveva accusato semplicemente di «non conoscere Venezia».

La protesta dei residenti

Eppure anche fra i veneziani c’è chi non è d’accordo. Quando il tema è arrivato in consiglio comunale, sette mesi fa, si è quasi sfiorata la rissa e la seduta è stata sospesa, fra le proteste di alcuni cittadini e dei consiglieri comunali dell’opposizione. Il 25 aprile, primo giorno dell’esperimento, centinaia di persone hanno marciato per protestare contro il ticket. Sei di loro, gli organizzatori, sono stati denunciati perché avevano chiesto l’autorizzazione solo per un presidio fisso.

Secondo il sindaco le proteste sono fisiologiche, ma sono l’espressione di una minoranza. «Non è vero, la maggior parte dei veneziani è contraria. Evidentemente il sindaco non ha il polso della situazione nelle strade di Venezia. Non frequenta i bar e i vaporetti», dice Matteo Secchi, presidente di venessia.com, un gruppo di cittadini nato nei primi anni duemila intorno a un forum di discussione e poi cresciuto anche grazie ai social network.
Nei giorni scorsi è diventato uno dei luoghi virtuali della protesta, attirando l’attenzione del mondo. Raggiunto al telefono, ha appena finito di parlare con il New York Times: «Venezia è una città, non puoi metterle un biglietto di ingresso», sostiene Secchi. «È un modo per trasformarla definitivamente in un parco dei divertimenti, una sorta di Disneyland. E poi c’è il problema della reputazione. Quando mandi messaggi di questo tipo nel mondo, non tutti hanno il tempo o la voglia per approfondire. Che figura facciamo nei confronti della casalinga dell’Illinois o del carpentiere di Sidney? Io vorrei chiedere scusa a tutti».

Eppure Secchi concorda che il turismo fuori controllo sia un problema. «Venezia non ha spazio. In luoghi strettissimi devono convivere due mondi con esigenze diverse: ci siamo noi abitanti che dobbiamo raggiungere le scuole, i supermercati, il commercialista… E poi ci sono i turisti che passeggiano perché sono in vacanza, con ritmi e traiettorie pedonali diverse. Il tutto in calli che a volte sono larghi solo due metri».

E, quindi, quale può essere la soluzione? «Non il ticket», risponde Secchi. «La nostra proposta è semplice: che la città venga chiusa ai turisti di passaggio, ma solo quando si supera una quota determinata di presenze. Si può fare, c’è anche un precedente. Nel 1989, durante il concerto dei Pink Floyd, a un certo punto hanno bloccato il ponte della Libertà (l’unico collegamento fra Venezia e la terra ferma, ndr)».

«Senza alternative»

Fra i promotori dell’iniziativa c’è l’assessore al bilancio, Michele Zuin. «Noi non vogliamo, e non potremmo nemmeno, mettere un numero chiuso agli arrivi», spiega. «La sperimentazione di questi primi 29 giorni del 2024 ci serve per lavorare su quella che dovrà essere la soglia massima di turisti presenti in città, senza far saltare i servizi pubblici, i trasporti o i bagni».

L’obiettivo non è mettere poi una barriera d’accesso, ma disincentivare l’arrivo di troppi turisti proprio con il ticket. Difficile immaginare che questo effetto si possa vedere da subito, soprattutto con un’iniziativa nuova e ferma ai 5 euro. L’amministrazione è però convinta che l’impresa possa riuscire nel lungo periodo: «Incrociando tutti i dati sui flussi di quest’anno e quelli delle celle telefoniche delle persone giunte in città in queste giornate», dice Zuin, «nel 2025 saremo in grado di fissare una soglia massima di presenze sostenibili. Oltre quella soglia, chi vorrà comunque venire a Venezia nei giorni caldi dovrà pagare un contributo più caro, probabilmente il massimo previsto dalla legge». Che, almeno per il momento, è pari ai limiti della tassa di soggiorno, ovvero 10 euro. La speranza è che i turisti notino le differenze di prezzo e decidano per quei giorni in cui il ticket è meno caro, lasciando più respiro invece nelle giornate più affollate.

L’assessore al turismo, Simone Venturini, in un video condiviso dall’agenzia Local team è ancora più netto: «In sessant’anni, da quando abbiamo iniziato a discutere di turismo di massa, nessuno ha fatto nulla. Ci sono stati convegni, studi e libri, ma nessuno ha provato a mettere in piedi un sistema». «Tutti quelli che propongono soluzioni diverse, come ticket da 50 euro o barriere all’ingresso, non tengono conto che sono alternative che non sono compatibili con la legge nazionale».

Il rimborso

Non c’è dubbio che Venezia sia un gioiello fragile, e da molti punti di vista. Nei giorni scorsi un nuovo studio coordinato dall’Università Ca’Foscari, e pubblicato su Regional Enviromental Change, ha certificato che anche il Mose – il sistema di dighe che prometteva di salvare la città dall’acqua alta – sta invecchiando precocemente a causa dei cambiamenti climatici: già nel 2060 le maree saranno così alte che le paratie rischiano di non bastare più. In questo contesto, il turismo senza controlli rischia di fare gli stessi danni dell’acqua alta. Anche l’Unesco ha più volte minacciato di inserire Venezia fra i “patrimoni dell’umanità in pericolo.

Il timore di chi protesta è però che un ticket all’ingresso possa avere l’effetto esattamente contrario. Potrebbe accelerare una tendenza che sembra ancora più diffusa con il ritorno del turismo dopo il Covid, come notava qualche tempo fa la Cnn. Ovvero, il fatto che i turisti si possano sentire autorizzati a comportarsi male, proprio in virtù del biglietto che hanno pagato: «Potrebbe succedere, se hai idea di trovarti in un parco dei divertimenti», dice Secchi.
Nei giorni dell’esperimento il suo gruppo girava per i ponti di Venezia con un megafono, suggerendo ai turisti di chiedere il rimborso del biglietto se le attrazioni non fossero di loro gradimento. Proprio come a Disneyland.

(Tratto da un editoriale di Daniele Erler per Domani)

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